domenica, giugno 11, 2006

L'assolutezza come condizione dell'insensatezza del distacco




Ecco a voi, come promesso ai nostri cari e fedeli lettori, un'ulteriore mia opera.
Non pretende di avere carattere di verità; è stato per me più un esercizio argomentativo piuttosto che l'esposizione di una mia posizione. È anch'esso un tema di italiano posto però prima, per data di stesura, rispetto all'appena pubblicato.

Buona lettura.


Tipologia B1 - Saggio breve


TITOLO: “L'assolutezza come condizione dell'insensatezza del distacco”

Il distacco provoca dolore nel momento in cui l'individuo cerca la propria affermazione in altro da se. In questo modo egli entra nel “gioco del desiderio” ampiamente trattato da autori quali Leopardi e Schopenhauer. Per essi, il desiderio di qualcosa di esterno provoca irrimediabilmente dolore. La volontà per Schopenhauer desidera non un oggetto particolare ma il desiderare stesso. Questo infinito tendere provoca dolore poiché, una volta ottenuto l'oggetto del desiderio, ci si accorge di desiderare altro e di non essere appagati proprio perché la volontà non ha oggetto ma desidera unicamente “volere”.
L'attaccamento ad una persona, quindi, oltre ad instradare l'uomo nel “buio tunnel della volontà” e a portarlo quindi ad una inevitabile sensazione dolorosa, presenta l'ulteriore problema che si manifesta quando l'oggetto dell'attaccamento è qualcosa di finito e mortale. Porre a condizione della propria felicità qualcosa di finito risulta pericoloso poiché esso, consumandosi e terminando, fa svanire quella felicità della quale era condizione.
Quando Catullo in “Carme LXVIII” afferma “insieme con te sono finite tutte le nostre gioie” o quando Carducci in “Pianto Antico” si rivolge al proprio oggetto con “Tu fior de la mia pianta percossa e inaridita, tu de l'inutil vita estremo unico fior” si nota ciò che è stato appena trattato: porre a condizione della propria felicità un oggetto finito fa sorgere il problema del distacco doloroso.
Una soluzione potrebbe essere quella stoica di reprimere le emozioni. Questo reprimere si configura però solo come una non esternazione delle emozioni che lascia comunque, nel profondo dell'individuo, il dolore represso.
La via epicurea fa leva invece sull'introduzione di un aldilà felice. Questa è la soluzione che propone Foscolo quando in “In morte del fratello Giovanni”dice “e prego anch'io nel tuo porto quiete” appellandosi quindi ad una felicità ultraterrena. Per gli epicurei il distacco risulta essere solo temporaneo poiché nell'aldilà la separazione viene meno.
Già da questa posizione si può notare come condizione della felicità debba essere l'immortalità dell'anima. È questa infatti la soluzione del fedele: porre la propria felicità nel mistero e nella speranza di un'altra vita. Una soluzione che non porta però alla risoluzione del problema. Essa si aggancia alla speranza di qualcosa di sconosciuto ed indimostrabile e lascia aperto il problema del dolore terreno.
È evidente, quindi, dopo questa esposizione, come, per evitare il dolore del distacco, sia indispensabile raggiungere l'assolutezza individuale. Quintiliano nella prefazione di “Istitutio oratoria” racconta come, a seguito di numerosi lutti, egli abbia deciso che “il frutto della mia fatica a nessuno tranne che a me fosse rivolto”. Questa però non risulta ancora essere assolutezza. Il “faticare per se stesso” ha una accezione per lo più egoistica e risulta ancora legato ad un fine, uno scopo, che fa quindi rientrare nel “gioco del desiderio”.
La soluzione Schopenhaueriana è invece quella dell'ascesi, della cessazione di ogni volontà. Il filosofo, profondo estimatore delle religioni orientali, si ispirò proprio ad esse.
Il buddismo ambisce infatti, attraverso la meditazione, al raggiungimento dell'assolutezza. Quando l'individuo riesce a trovare la serenità all'interno di sé, egli è assoluto ed è sfuggito sia al gioco del desiderio, poiché essendo pienamente appagato non desidera più, sia al dolore del distacco, poiché è appunto assoluto. Per il buddismo la massima espressione dell'assolutezza è il raggiungimento del “nirvana” che permette di cessare il ciclo della reincarnazione distaccandosi completamente dal mondo terreno e divenendo puro spirito.
In questo modo non vi è più desiderio, non vi è più distacco: l'individuo è assoluto e pienamente appagato.

1 Comments:

Blogger mambro said...

Maturandi.. io l'avevo previsto :-D

21/6/06 21:30  

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